Sai correre come un Keniota o come un “idiota”?

 

Ciao,
spero non ti sia offeso per il titolo dell’articolo, non è mia intenzione offenderti ma attirare la tua attenzione su questo tema! Purtroppo, troppa gente corre male e rischia di infortunarsi seriamente e noi di Undertraining non vogliamo che questo accada!
Quindi, oggi non sarò io a scriverti direttamente ma ti lascio nelle mani del nostro esperto in preparazione atletica Luca Russo, per scoprire quali sono i metodi migliori e corretti per andare a correre con successo.
Hai ricevuto i nostri precedenti articoli in cui ti insegnavamo a perdere 4 Kg di “ciccia” in un mese?
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Pronti? Entriamo nel vivo della tecnica di corsa in modo da poter diventare dei maratoneti provetti!!

Vai Luca, dacci i tuoi preziosi consigli!

Roberto Pusinelli
Owner Undertraining SAGL

Ciao,
oggi, come anticipato da Roberto, voglio insegnarti il modo corretto per poter arrivare a correre la maratona senza dover poi tenere i piedi in una bacinella di acqua e sale per una settimana :-DGrazie alla Laurea in Scienze Motorie e gli anni passati sul campo ad allenare podisti, giocatori di basket, tennisti e pallavolisti, ho potuto rilevare alcune interessanti caratteristiche sui vari tipi di corsa e oggi voglio condividerle con te.Immagino che spesso avrai sentito dire che la corsa è una cosa naturale e che tutti possono andare a correre da un giorno all’altro, senza una preparazione specifica.
Bene, se qualcuno ti ha detto questo sappi che sono tutte “balle” e ora ti spiego perché.
Purtroppo la corsa è un movimento naturale solo per le persone che naturalmente riescono a correre. Scusa il gioco di parole ma se il tuo amico Luigi, che correva ancor prima di uscire dalla pancia della mamma, ti vuole portare a correre con lui e tu non hai mai corso in vita tua, il rischio è quello non poter camminare per una settimana o peggio di doverti muovere come un pinguino tra le sabbie di un deserto africano.
Infatti, se non hai mai corso da bambino o hai smesso i panni dell’atleta da molto tempo, non puoi pensare di prendere le tue nuove fiammanti scarpette e lanciarti sul serpente d’asfalto senza rischiare infortuni.Sappi che ogni minima variazione del tuo appoggio naturale si ripercuote sui piedi, sulle caviglie, sulle ginocchia, e di conseguenza anche sulla colonna vertebrale e sulle sue curvature, quindi il passaggio dalla camminata alla corsa non risulta essere poi così tanto naturale!!
Per migliorare la tecnica di corsa in età adulta dovrai in sostanza ripercorrere il  processo che ti ha portato a correre in età infantile. Vediamo come.I movimenti del piede durante la corsa
Quando si cammina o si corre, non si fornisce al corpo solo energia positiva che lo fa avanzare, ma subisce anche un’energia negativa di ritorno che risale fino alla testa a una velocità di 120 km/h, sotto forma di vibrazioni che vengono assorbite da articolazioni, ossa, muscoli, ecc…: 1/10 arriva fino al ginocchio, 1/20 fino al bacino e 1/30 fino alla cervicale.
Il tipo di contatto del piede con il suolo varia a seconda della velocità: più si corre lentamente, più si usa il tallone. In generale, si può dire che tra i runners una percentuale del 65-75% atterra di tallone e 25-35% di avampiede. La durata d’appoggio del piede al suolo è leggermente più lunga (3 centesimi) per chi appoggia di tallone.
Il tallone non è un buon ammortizzatore a differenza dell’avampiede che, grazie a un sistema complesso di ossicini, legamenti e muscoli, assorbe la maggior parte dell’energia negativa di ritorno. Inoltre chi atterra di tallone ha l’inconveniente di un contatto tallone-suolo così breve che l’onda vibrante di ritorno riesce a propagarsi attraverso il corpo prima ancora di poter essere tamponata dagli ammortizzatori dei legamenti e dei muscoli. Viceversa, chi atterra d’avampiede ha un maggiore carico statico, visto che, di fatto, manca la rullata. Vediamo meglio di cosa si tratta…L’appoggio di un piede normale nella corsa può essere suddiviso in tre fasi: contatto, appoggio e spinta.Durante la fase di contatto il piede “atterra” al suolo con diverse angolature; questa fase dura circa il 25% del tempo totale di appoggio e avviene con la parte esterna del calcagno. Nella successiva fase, che dura circa il 40% del tempo totale d’appoggio, il peso del corpo viene completamente sorretto dal piede.
Lo scafoide, l’osso più mediano e interno dell’arco plantare, ruota verso l’interno e in basso; in questo modo il piede aumenta la propria superficie di distribuzione del peso corporeo e le forze di compressione vengono meglio disperse. Questa “rotazione” verso l’interno è la pronazione, cioè il movimento naturale e fisiologico che porta il piede ad appoggiare al suolo con tutta la sua superficie per ammortizzare, controllare il peso del corpo e favorire la successiva fase. Durante la pronazione, i muscoli del polpaccio si caricano come una molla per poi restituire l’energia durante la successiva fase di spinta. Nell’ultima fase, quella di spinta, il piede funziona come una leva rigida che trasmette la forza esplosiva al terreno: il peso del corpo si sposta sull’avampiede e i muscoli del polpaccio e delle dita si contraggono per permettere l’avanzamento. In questa fase, che dura circa il 35% del tempo totale, i movimenti s’invertono rispetto alla precedente: l’arco plantare si alza ed il piede comincia a ruotare in alto e in fuori, in una sequenza di movimenti che viene detta supinazione. Dal punto di vista biomeccanico, la pronazione e la supinazione sono due movimenti opposti uno all’altro, ma che risultano fondamentali per la corretta funzionalità biomeccanica del piede.
Per avere un’azione efficace e vantaggiosa, il movimento dalla pronazione alla supinazione deve avvenire in modo equilibrato, progressivo e con il giusto timing. In questo modo anche le altre articolazioni, come il ginocchio e l’anca, lavorano con la massima efficienza. In conclusione, possiamo affermare che la pronazione è necessaria per ammortizzare e stabilizzare l’appoggio, mentre la supinazione è fondamentale per la fase di spinta e l’avanzamento.Iperpronazione
Ma che cosa succede se uno dei due movimenti risulta eccessivo o limitato o troppo prolungato nel tempo? Quando durante la fase di supporto un corridore ha un movimento di pronazione esagerato, cioè ha troppa rotazione interna, si dice che è afflitto da un eccesso di pronazione o che è un iperpronatore. Nell’immagine sottostante trovi le tre impronte tipiche che puoi riscontrare in un piede, associate al tipo di appoggio e allineamento. In questo caso l’arco plantare risulta poco pronunciato e l’impronta del piede a contatto con il terreno risulta allargata sulla parte mediana, proprio per il parziale cedimento dell’arco. Questa alterazione dell’appoggio può essere dovuta a cause di tipo anatomico e/o funzionale e comporta tutta una serie di scompensi biomeccanici che, se non opportunamente risolti, con l’andare dei chilometri possono dare luogo a diverse patologie. Un appoggio con eccesso di pronazione ha un’alterazione nella distribuzione dei carichi proprio nel momento in cui il piede deve sopportare tutto il peso del corpo. Le strutture della volta plantare sono allora soggette a delle sollecitazioni anomale che aumentano lo stress sulla parte tendinea e legamentosa chiamata a sopportare una sollecitazione maggiore. In questa situazione anche i muscoli del piede sono in sovraccarico essendo chiamati a svolgere, oltre alla loro naturale azione stabilizzatrice, anche quella dinamica.Piede piatto
Quando c’è un abbassamento completo della volta plantare si parla di piede piatto. In questo caso, durante la fase di sostegno del passo, il supporto dei muscoli e dei legamenti viene a mancare completamente e il piede spancia verso l’interno. La diagnosi di un piede piatto può essere facilitata attraverso lo studio dell’impronta della pianta del piede. Rispetto all’impronta di un appoggio normale, nel piede piatto la parte centrale dell’impronta appare addirittura convessa. Anche in questo caso le cause possono essere di tipo anatomico e funzionali. Come nel piede con eccesso di pronazione, si ha una lassità legamentosa associata alla mancanza di tono muscolare, in particolare del muscolo tibiale posteriore. Il piede piatto è spesso doloroso ed è limitante per la corsa.

Supinazione
Se durante l’appoggio a terra il piede ha una scarsa rotazione interna e un’accentuata rotazione verso l’esterno si parla di limitata pronazione o di un eccesso di supinazione. L’arco plantare in questo caso è più arcuato rispetto al normale, causando un’eccessiva rigidità del piede. Infatti nella fase di sostegno la superficie di appoggio si assottiglia. Il piede perde, così, gran parte del suo potere ammortizzante, provocando una tensione eccessiva a livello delle strutture tendinee e muscolari. I runners con questo tipo di appoggio sono più predisposti alle distorsioni e alla sindrome della bandelletta ileotibiale. Un eccesso di supinazione limita infatti la fisiologica rotazione interna della tibia, con scompensi a livello del ginocchio.

Piede cavo
Quando il piede ha una volta plantare incavata siamo di fronte a un piede cavo. Anche in questo caso le cause possono essere anatomiche congenite o funzionali. L’arco plantare è così arcuato da avere un’impronta del piede senza “l’istmo”, vale a dire senza la continuità tra il calcagno e l’avampiede. Il peso del corpo è spostato tutto verso l’avampiede e il calcagno con il conseguente sovraccarico delle strutture. Il piede cavo è un piede molto rigido per via della poca elasticità dei muscoli plantari, del polpaccio e del tibiale posteriore. Nel caso più estremo ci troveremo di fronte a un “piede equino”, dove addirittura il calcagno non appoggia neppure a terra durante l’iniziale fase di contatto.

Fino a un decennio fa, quando si parlava di appoggio del piede, si soleva distinguere fra pronatori e supinatori: si considerava cioè l’inclinazione laterale del piede; più recentemente si è iniziato a considerare anche l’inclinazione longitudinale, distinguendo fra runner che corrono sull’avampiede e altri che preferiscono correre sul tallone. Ovviamente, come nel caso di pronatori/supinatori, non esiste una divisione netta, ma ogni runner presenta una propria inclinazione longitudinale.
Il dibattito degli ultimi anni sull’appoggio del piede ha inequivocabilmente mostrato che
non esiste un appoggio del piede universalmente migliore.
Un recente studio finlandese (Forefoot strikers exhibit lower running-induced knee loading than rearfoot strikers”, Kulmala, Avela, Pasanen, Parkkari; Medicine & Science in Sports & Exercise, 2013) mostra che, a seconda dell’appoggio, le varie parti del corpo vengono diversamente sollecitate e quindi un determinato infortunio può dipendere dall’appoggio. Lo studio finlandese mostra che chi corre sull’avampiede carica meno il ginocchio di chi corre sul tallone, ma questi ultimi sollecitano meno la caviglia.
Sembrerebbe quindi banale sostenere che cambiando appoggio si possa risolvere gran parte degli infortuni dovuti all’età atletica del soggetto (sono definiti infortuni strutturali e sono circa il 15% del totale); la brutta notizia è che però si vanno a sollecitare altre parti del corpo, parti che per anni magari hanno avuto un carico decisamente inferiore: ecco che si ripristina il tendine, ma poi sarà il ginocchio ad avere problemi.Non esiste uno stile di corsa ideale, ogni corridore è diverso da un altro per peso, taglia, mobilità articolare, capacità coordinative, età, eccetera. Ognuno dovrà pertanto lavorare su alcuni fondamentali, adattando le proprie capacità a regole basilari. Esistono inoltre stili di corsa diversi che ogni corridore deve almeno in parte saper gestire ed adottare al bisogno, dato che i movimenti del corpo sono completamente diversi a seconda che si corra uno sprint di 60m o una maratona. Ogni distanza di gara richiede abilità diverse ed adattamenti allo stile di corsa, come ad esempio il tipo di appoggio del piede, ampiezza e frequenza del passo, tipo di movimenti delle braccia.
Sei pronto per correre come non hai mai fatto prima?
Luca Russo
Esperto in preparazione atletica
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